Collezione dedicata agli itineraria: vi confluiscono le relazioni dei pellegrinaggi al Santo Sepolcro e le relazioni delle missioni francescane in Oriente.
Dei molteplici aspetti che assunse il viaggio nell’epoca medievale ne troviamo qui rappresentati due molto importanti: la peregrinatio nei luoghi santi, che veniva praticata fin dai primi secoli dopo Cristo e di cui abbiamo numerosi resoconti, e la missione a scopo evangelico che, a partire dal secolo XIII, rappresentò per gli occidentali una fondamentale opportunità per entrare in contatto con realtà lontane e diverse, immergersi da vicino in abitudini inusitate, estendere i propri orizzonti mentali e culturali in maniera pacifica e non aggressiva.
Il pellegrinaggio nei luoghi sacri, come si sa, fu sempre incoraggiato dalla Chiesa, l’immagine biblica dell’uomo cristiano come pellegrino sulla terra definisce chiaramente la centralità medievale di questa esperienza, trasposta nei libri in maniera diversa a seconda delle epoche e degli autori, più impressionistica e partecipata, come in Egeria, o più letteraria e descrittiva, come nel Liber peregrinationis di Giacomo di Verona, un frate agostiniano che possiamo forse identificare con il lector che visse presso il convento di S. Eufemio a Verona durante il XIV secolo. Le date del viaggio che compì in Terra Santa sono abbastanza precise, poiché il testo, redatto – almeno nella sua prima parte – in forma diaristica, scandisce le narrazioni con precisi riferimenti cronologici: partì il 7 maggio 1335, si imbarcò da Venezia il 30 di quel mese giungendo a Gerusalemme il 5 agosto. Specie nella seconda parte del testo, invece, più massiccio diventa l’apporto di fonti letterarie (in particolare da Burcardo del Monte Sion, un domenicano vissuto alla fine del XIII secolo autore di una nota Descriptio Terrae Sanctae) a discapito della narrazione in presa diretta.
Un esempio diverso, di una peregrinatio tutta intellettualmente letteraria, è senza dubbio l’Itinerarium di Petrarca, un testo scritto per accompagnare in Terra Santa, se non fisicamente almeno affettivamente, l’amico Mandelli. Fin dalla partenza, che il poeta immagina da Genova, invece che dalla più consuetudinaria Venezia, si comprende come l’autore abbia a cuore principalmente veicolare una precisa visione della penisola italiana, descritta nella sua consistenza geografica ma anche storica. Così il poeta si muove in un panorama a lui familiare, spostando il baricentro geografico del testo dalla Palestina alla costa tirrenica, descritta minutamente con ricordi, citazioni letterarie, digressioni erudite, comprimendo quello che doveva essere il tema del testo (i Luoghi Santi) solo negli ultimi cinque capitoli.
Gli altri quattro autori della collezione odeporica, tutti con una buona formazione culturale, sono Giovanni di Pian del Carpine, Giovanni de’Marignolli, Riccoldo da Monte di Croce e Odorico da Pordenone e appartengono al filone delle esperienze missionarie in oriente. Giovanni di Pian del Carpine, figura di primo piano del francescanesimo, fu inviato in missione diplomatica dal pontefice Innocenzo IV; partì la domenica di Pasqua del 1245, viaggiando per circa 10.000 chilometri e giunge alla corte imperiale il 22 luglio, in tempo per assistere, il 24 agosto 1246, all’incoronazione di Cuyuccan, a cui era diretta l’ambasciata. Il resoconto del viaggio si intitola Historia Mongalorum, un testo che male si comprime in un genere letterario ben definito, perché è insieme itinerarium, diario, narrazione etnografica e autobiografia. Riccoldo da Monte di Croce fu un frate domenicano, noto anche per la sua attività di controversista, che intorno al 1280 fu inviato in Oriente da Onorio IV: visitò la Palestina, l’Armenia, la Turchia e la Persia. Giovanni de’Marignolli e Odorico giungeranno fino in Cina, la cui evangelizzazione aveva conosciuto un momento di espansione con la fondazione di una sede arcivescovile affidata a Giovanni di Montecorvino (morto nel 1328). Negli stessi anni dell’episcopato di Giovanni si colloca il viaggio di Odorico, che parte da Venezia nel 1314 e giunge in Cina nel 1322. Sbarca a Kanton e si ferma 3 anni a Kambaliq (l’odierna Pechino) per dedicarsi poi – ma senza troppo successo – alla conversione dei nestoriani delle zone interne della Cina. La sua relazione di viaggio ha un’imponente tradizione manoscritta che testimonia la fortuna del testo, oggetto anche di numerosi volgarizzamenti. Di pochi anni posteriore è la spedizione di Giovanni de’ Marignolli: il nuovo sovrano mongolo aveva bandito tutte le religioni tranne l’islamica, Giovanni viene inviato dal Benedetto XII a Pechino per tentare una mediazione. Queste opere, pur nelle loro diversità, hanno in comune l’attitudine etnografica, la capacità descrittiva dei propri autori, spesso libera dal pregiudizio del confronto, che si apre con curiosità antropologica al diverso e le rende testimonianze preziose, oltre che sul piano storico-letterario, in ambito linguistico, con attestazioni di usi e oggetti che negli stessi anni, attraverso la via della seta, giungono nei mercati e nelle città dell’Occidente.